Le emozioni
Le emozioni sono manifestazioni psicofisiologiche con base innata.
Che cosa vuol dire? Che, in quanto esseri umani, nasciamo con la capacità di provare e di esprimere le emozioni.
Quando questa capacità innata si incontra con degli stimoli (interni o esterni), l’espressione delle emozioni serve a comunicare con l’ambiente esterno e con le persone che ne fanno parte.
Essendo una dotazione genetica, le emozioni, perfino quelle negative, sono tutte utili. La paura, ad esempio, permette in certi casi di salvarsi la vita fuggendo da situazioni di pericolo. La rabbia invece è indispensabile nel caso in cui sia necessario difendersi oppure intervenire energicamente per risolvere circostanze che lo richiedono e di cui, viceversa, si sarebbe vittime.
Pur essendo innate e universali, le emozioni sono contemporaneamente soggettive. Tutt’altro che statiche, esse si modificano nel tempo diventando sempre più articolate e complesse. Più precisamente, la storia delle risposte ottenute dagli altri alla loro esternazione e delle circostanze in cui sono state suscitate conferisce loro significati e modalità espressive del tutto particolari.
È interessante notare che le emozioni, fondamentali nel vissuto che si ha di se stessi, sono al centro di tutti i disagi psicologici e delle psicopatologie. Si pensi alla paura nelle fobie oppure alla tristezza che diventa disperazione nella depressione.
È la loro mancata regolazione a renderle molto problematiche, sovrastanti, difficili da gestire o a causare ad esempio problemi di somatizzazione.
Quello su cui vorrei soffermarmi, in particolare, è ciò che accade quando non si riesce a creare situazioni in grado di far provare le emozioni che si vorrebbero provare, mentre ci si ritrova, malgrado gli sforzi, a vivere situazioni ed emozioni sgradite.
Differenza tra emozioni provate ed emozioni ricercate
Si tratta della differenza tra effetto raggiunto ed obiettivo desiderato. Quando effetto e scopo non coincidono, il risultato è frustrante per la persona che sperimenta un’emozione non voluta, molto probabilmente negativa, che è tra l’altro la diretta conseguenza – ripetiamolo, non desiderata quando non temuta – del proprio comportamento. È come cioè se il proprio agire, che muove, nelle intenzioni, in una determinata direzione, portasse alla fine, contro la propria volontà, da tutt’altra parte. In una maniera che rimane inspiegabile e che fa sentire soli, impotenti e sbagliati.
Facciamo un esempio. Prendiamo in considerazione le emozioni che rientrano nella sfera dei rapporti importanti, dei cosiddetti legami di attaccamento. Poniamo che la persona in questione abbia in mente di vivere un momento di condivisione intima con qualcuno. E poniamo che, sulla base delle proprie ripetute esperienze passate, che sono state negative, magari traumatiche, si aspetti, più o meno inconsciamente, di essere rifiutata. Una simile aspettativa, che si insinua automaticamente, condizionerà altrettanto automaticamente il comportamento di ricerca della vicinanza. Così, ad esempio, il tentativo di raggiungere la persona significativa sarà goffo, ambiguo, all’altro incomprensibile o perfino irritante. Si noti che, in una sorta di profezia che si auto-avvera, l’altro potrà essere portato effettivamente a rifiutare la vicinanza, confermando l’aspettativa negativa (che ne risulterà rafforzata) e lasciando in uno stato emotivo molto lontano dall’intimità che era nei progetti di sperimentare.
Il problema è che una larga parte di questo processo sarà avvenuta al di fuori della consapevolezza di entrambi i partecipanti all’interazione e ora si presenterà all’esperienza così come è, come se fosse così com’è a prescindere da ciò che si voleva o dal proprio contributo attivo.
Il risultato è che ci si sentirà incapaci di ottenere ciò di cui si ha bisogno o, peggio, capaci soltanto di attirarsi situazioni penose. Si avrà la sensazione di essere la causa delle proprie sofferenze, perfino un po’ masochisti. Il che innescherà un’altra emozione difficile da fronteggiare e dalla portata psicologica devastante, che è la vergogna.
La psicoterapia e la consapevolezza di questa differenza: perché è importante
In psicoterapia è di massima importanza che la differenza tra emozioni provate ed emozioni ricercate venga portata all’attenzione della coppia psicoterapeuta-paziente al lavoro. Questo serve proprio a mostrare al paziente come ciò che mette in atto non sia così insensato come gli sembra.
A partire dalla mancata coincidenza tra intenzioni di partenza ed effetti ottenuti, è infatti possibile illuminare i diversi passaggi che di solito avvengono in modo veloce e automatico e che sfuggono al proprio controllo cosciente. Uno di questi è senza dubbio rappresentato dalle proprie aspettative inconsce, quelle convinzioni emotive radicate che si sono formate soprattutto a partire dalle prime esperienze di vita e che non si sa nemmeno di avere ma che, come abbiamo visto, continuano a condizionare potentemente la vita di tutti i giorni e le relazioni con gli altri, oltre che la relazione con se stessi.
In quest’ottica, la psicoanalisi è certamente la psicoterapia più indicata, per l’interesse che riserva alle dinamiche inconsce, oltre che ai processi consci.
Altrettanto importante in psicoterapia – e ne è per certi versi anche una conseguenza – è sviluppare un maggiore senso di “agency”. L’agency, che tradotto in italiano vuol dire, letteralmente, “essere agente”, corrisponde alla percezione di essere capaci di avere un impatto – in questo caso favorevole o comunque in linea con il proprio intento – sull’ambiente circostante e sulla propria vita grazie al proprio agire, che può essere in tal modo sentito come efficace. Anche quella del piacere che fa seguito al senso di efficacia e di competenza è, in effetti, un’altra emozione vitale, che aggiunge significati e coloriture positive alla propria esistenza.
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