Questa poesia di Wislawa Szymborska, bellissima come del resto molte altre delle sue, può essere efficace nel far capire in maniera esperienziale, con l’immediatezza evocativa del suo linguaggio vivido, chi è e cosa sperimenta il dipendente affettivo.
Il presupposto, paradossale, da cui la poetessa sembra muovere è quanto colui che possiamo immaginare come dipendente affettivo stia bene – non essendone travolto, non venendo schiacciato affettivamente, non condannandosi alla dipendenza – con chi non ama.
Con loro, tutte le normali attività e le comuni esperienze sono cose semplici, vissute fino in fondo. In fin dei conti, non può fare troppo male chi può permettersi di accumulare un grande ritardo prima di giungere ad un nostro appuntamento senza tuttavia toglierci il respiro ad ogni attimo passato nell’attesa; chi, solo perché al nostro fianco, non ha il potere di assorbire continuamente la nostra attenzione distraendola da meraviglie esterne da ammirare; chi può perfino dimenticarsi di rispondere ad una lettera, poichè il tempo che rimarremo ad aspettarla non sarà scandito da un indomabile senso di vuoto e di mancanza.
Viceversa, quando ci si avventura ad amare, di un amore che, utilizzando il linguaggio della teoria psicologica dell’attaccamento, potremmo definire insicuro – perché è questo il punto -, anche le cose più piccole diventano così complicate e irrimediabilmente condizionate dalla presenza – o dalla assenza – della persona amata.
Se non ci si può fidare della sicurezza di un legame, se non si può contare – a causa, soprattutto, delle proprie passate esperienze, fin da quelle dell’infanzia con le prime figure d’amore – sul fatto che incontreremo sempre uno sguardo amorevole quando ci volteremo a guardare gli occhi della persona importante, allora l’esperienza dell’amore può diventare un inferno senza possibilità di uscita.
È quanto accade a chi è intrappolato nelle strette maglie della dipendenza affettiva, a chi cioè risponde al profilo del dipendente affettivo, i cui vissuti questa poesia riesce ad inquadrare e a descrivere davvero efficacemente.
A chi non si ama, va pertanto uno speciale “ringraziamento”.
RINGRAZIAMENTO
Devo molto
a quelli che non amo.
Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.
La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.
Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l’amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.
Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l’amore non capisce,
perdono
ciò che l’amore mai perdonerebbe.
Da un incontro a una lettera
passa non un’eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.
I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.
E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.
È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.
Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.
«Non devo loro nulla» –
direbbe l’amore
sulla questione aperta.
(W. Szymborska, “Grande numero”, Libri Scheiwiller, 2006)
Lascia un commento