Da sempre, non soltanto in psicologia o in psicoanalisi, la questione dell’aggressività, se essa sia una spinta innata o un comportamento acquisito, è una questione controversa. Siamo un groviglio di istinti bestiali che la civiltà e la società cercano il più possibile di addomesticare oppure siamo creature innocenti contaminate dalle esperienze sfortunate?
Se si vede la rabbia come una forza biologica, allora si è portati a credere che i motivi a cui si lega siano per lo più delle “giustificazioni” e che, in loro assenza, emergerebbe in ogni caso spontaneamente per trovare libero sfogo. Così, per molti, trova spiegazione ogni genere di crudeltà umana.
Quanti invece la ritengono secondaria ad altri stati d’animo, per esempio all’ansia, sono convinti che se non si fossero create le situazioni che l’hanno suscitata, la rabbia non avrebbe avuto alcuna ragione d’esistere.
Nel primo caso la “cura” della rabbia dovrebbe coincidere con un suo graduale addomesticamento, nel secondo con la comprensione dei motivi che ne sono alla base e che continuano a provocarla (ansia, privazioni, trascuratezza, maltrattamenti, ferite narcisistiche).
C’è da sapere che l’opinione che ognuno di noi si fa in merito all’origine dell’aggressività umana la dice lunga sull’esperienza soggettiva che se ne ha e sul modo in cui si è andata strutturando nella propria vita.
Nonostante persistano ancora posizioni estreme, nell’ambito della moderna psicoanalisi si è più inclini a rispondere all’interrogativo posto in linea con il compianto psicoanalista relazionale americano Stephen Mitchell, situando la rabbia in una posizione intermedia.
L’aggressività è sì una dotazione emotiva e comportamentale biologica, costituzionale. In questo senso è innata. Tuttavia per manifestarsi ha bisogno di incontrare determinate circostanze, in grado di evocarla. In questo senso è reattiva o secondaria. Le circostanze in grado di evocare la rabbia coincidono con una fonte di dispiacere e con la percezione di un pericolo o di una minaccia. Non si tratta soltanto di una minaccia alla propria integrità fisica, ma anche di una minaccia al Sé all’interno di una cornice relazionale poco sicura.
Ci sono altresì differenze soggettive nel livello di tolleranza al dispiacere e al pericolo e queste differenze probabilmente sussistono già alla nascita. In quest’ultimo senso la rabbia, di nuovo, è innata. Tutti noi ci imbattiamo, prima o poi, in una versione arrabbiata di noi stessi, dal momento che tutte le relazioni, fin dalla nascita, sono in qualche modo conflittuali. Tuttavia, una volta che la rabbia è stata evocata, la forma specifica che assume e il modo in cui viene percepita e poi ricordata ne determinano il significato psicologico personale. In tal senso, ancora, essa è secondaria.
Ci sono certamente casi in cui l’aggressività può diventare insensata, fine a se stessa, indipendente da qualsiasi motivo scatenante. Ci sono infatti persone che sembrano cercare lo scontro a tutti i costi e reagire con grandi esplosioni di rabbia anche di fronte a provocazioni lievi o addirittura inesistenti. Questi sono gli esiti di vissuti di rabbia cronici, nei quali l’iniziale reazione di rabbia si è prolungata oltre la sua utilità, in quanto non ha avuto l’effetto di eliminare il motivo che l’aveva causata. In queste persone si è fatto largo e persiste un senso cronico di minaccia che basta davvero poco a sollecitare. Così, ad esempio, se colui che ama pensa che il sentirsi ferito o trascurato sia il segnale che l’altro non lo ami abbastanza o che si interessi poco a lui e, come reazione, si arrabbia. A volte la ricerca di vendetta, nel tentativo di rimediare a torti o umiliazioni subiti, può perfino spingere in situazioni pericolose.
La rabbia in psicoterapia
Sotto questa nuova luce, in psicoterapia la rabbia non viene trattata né come un istinto irriducibile da stemperare né come la conseguenza di cause essenzialmente esterne da rimuovere che innocentizzano il paziente. Queste ultime, sebbene necessarie a scatenarla, non sono mai pienamente giustificative della reazione, la quale è invece soggettiva, come è soggettiva la valutazione delle cause stesse.
La rabbia è necessaria, purché non si trasformi in sadismo gratuito.
In psicoterapia dunque un obiettivo da raggiungere dovrebbe essere quello di promuovere la capacità di contenere e far coesistere stati psichici diversi, compresi quelli aggressivi, e di trattarli come una fra le molteplici espressioni di sé. Questa capacità acquisita permette alla rabbia, eventualmente avvertita come problematica, ostacolante per sé o troppo sconveniente all’interno dei propri legami affettivi, di manifestarsi in una maniera nuova, che può rivelarsi anche costruttiva.